mercoledì 3 dicembre 2014

AFFONDARE IL COLTELLO ovvero BABBO NATALE DISVELATO

La casa è già addobbata. I folletti sono già venuti tre volte a riempire il calendario dell'avvento. Le lettere sono già nella testa dei miei tre nani. 
Ma uno mi guarda in silenzio ogni volta che sfioriamo l'argomento natalizio. E quello sguardo, quegli occhi puntati su di me, in attesa di risposte che dovrei dargli a prescindere dalla domanda, mi mette un po' a disagio.
Finche ieri il momento è propizio. Siamo io e Uno soli.



"Io credo che siate voi a portare i doni, non Babbo Natale"
E io sento un occhio inumidirsi, solo uno davvero.
E non so se si inumidisce per la malinconia di un'età bambina che è passata così velocemente o se lacrima per la felicità di vederlo crescere questo piccolo uomo.
Sta di fatto che comincia a tempestarmi di domande:
e come si fa? E dove si prendono i giochi? Quando si mettono i regali? Ecco perché eravate più agitati noi di voi! 
E tanto altro.
Beh, mi dico, è andata. Pensavo peggio. 
E invece sono qui a stendere tranquilla.
Quando di nuovo mi si avvicina:
"Ma i folletti invece sono veri vero? Solo loro a riempirci il calendario...." e questa volta lo sguardo era supplicante, tipo: almeno questo lasciamelo.
E qui ho tentennato. 
Non ho avuto subito la risposta esatta, ma dentro di me si levava piano piano l'immagine di un coltello che recide. Perché questo ho capito quest'estate grazie a Uno, che essere genitori spesso vuol dire recidere, staccare brutalmente, in un certo qual senso far morire delle parti.
E così ho fatto morire quella parte di Uno:
"No, non sono i folletti, siamo sempre noi."
Come quest'estate in cui gli ho detto che non erano gli amici che non potevano invitarlo a casa, era che non volevano. 
Disvelare la realtà è opera faticosa a tratti ma necessaria.
E come tutte le cose drastiche, dopo ti lascia addosso spossatezza ma anche leggerezza e voglia di ricominciare a rivedere le cose.

E' quello che mi manca in alcune giornate, qualcuno che sveli anche per me. Che tronchi i rami secchi che ancora cerco di annaffiare. 

domenica 30 novembre 2014

IL BELLO DELL'INFLUENZA ovvero A TAVOLA IN DUE


In novembre può capitare di ammalarsi, tossire tutta notte e poi alzarsi con le occhiaie. Capita spesso poi, se non sei tanto grande.
Questa volta è toccato all'Uno. E ora io e lui ci apprestiamo a pranzare, di domenica, solo io e lui, che gli altri proseguono le corse forsennate della vita oltre queste mura.
Mi piace così. Io e lui. Guardare da dentro il mondo fuori, rintanati. Proseguire la giornata senza moti improvvisi. Godersi il quotidiano.
"Che pasta vuoi?"
"Scegli tu!"
"Cambiamo dai. Fusilli!"
In silenzio insieme. 
Oh, che pace.
Poi all'improvviso viene, mi abbraccia e io pure.
E non devo distribuire altri abbracci che proteggano dalla gelosia.
Come potremmo fare senza influenza? Come?

giovedì 6 novembre 2014

DOMANI INVENTERO'

Un libro autunnale. Con un orso blu che galleggia nelle pagine, sull'abisso del domani.


DOMANI INVENTERO'
di A. De Lestrade e V. Docampo
- Terre di Mezzo editore -


Di libri sulla notte, sull'affacciarsi del buio, sulla paura del lettino solitario nella camera ce n'è a bizzeffe. E a bizzeffe meravigliosi.
Questo libro appena uscito per Terre di Mezzo copre secondo me uno spazietto nell'editoria sulla notte che mancava.
E' un libro 0-99 anni, che vede la notte come un confine da varcare. Il giorno è pieno di situazioni: l'inverno, la noia, il mare, la lettura... poi l'orso arriva al confine, la notte è incipiente ed è necessario voltare pagina, prendere slancio e non aver paura. Chiudere gli occhi e immaginare che se oggi è freddo e fuori dalla finestra c'è un bianco pupazzo di neve, "domani m'invernerò".
Oppure se oggi piove e sono steso sul divano, annoiato, stufo di stare, addirittura senza nemmeno la tv... beh, che problema c'è? Adagio le palpebre nel loro letto e prendo lo slancio, perché sicuramente "domani mi stuficchierò".
Ma infondo che importa. 
Grazie ad ogni pezzo di giorno, vive un pezzo di notte, e nasce un pezzo di domani.



giovedì 4 settembre 2014

SUL CRESCERE A TRATTI ovvero PERFETTO!

Uno ha 10 anni.
Gli piace leggere fumetti e disegnarli. Gli piace la wii, nuotare, andare a casa degli amici. Non vede l'ora che arrivi sabato sera per vedere il cartone lungo. Porta il 37 di piede. Ai parchi divertimento fa tutte le montagne russe senza timore, ma non entra nel castello dei fantasmi.

Risponde male a volte, soprattutto ai suoi fratelli. E quando glielo faccio notare mi guarda un po' smarrito, come se fosse appena tornato da chissà dove. Soffre un po' per le sue amicizie. Ascolta le audiostorie dei fratelli Grimm. Sbuffa se deve fare i compiti ma mi dice che scrivere è la cosa più bella del mondo.

A luglio è successa questa cosa.
Andiamo ad un incontro col CAI per la preparazione ad un'uscita. E' pomeriggio, siamo io, Uno e il piccolo Tre che naturalmente si addormenta tra le mie braccia mentre gli altri parlano di moschetti, giacche a vento e corde. E' caldo, in realtà forse è la giornata più calda di tutto luglio (non che ce ne volesse...). Finisce l'incontro e ci accingiamo ad andare. Chiedo aiuto a Uno.
"Mi prendi le borse, così io tengo il braccio Tre?"
"Sì!" risponde lui prontamente e si carica addosso due borse della spesa più la mia borsa personale. E così carichi ci incamminiamo.
Ci precede di pochi passi una ragazzina del gruppo Cai. Avrà 14 anni. E' accompagnata da sua mamma. E' molto carina. Capelli annodati, camicia, gonna corta. E guardo quella coppia davanti a me con la tenerezza di chi sa che quella cosa non l'avrà (la complicità tra madre e figlia), non con invidia, che è brutta, ma davvero con tenerezza.

Improvvisamente mentre io sono persa nei miei pensieri e Uno, chissà, nei suoi, lei si gira e dice ad alta voce: "Ciao Uno!" e con eleganza (che io penso di non aver mai avuto nemmeno nei miei momenti di gloria), svolta l'angolo.
Uno è sbalordito, si vede, alza la mano per il saluto, impacciato perché pieno di sacchetti e strozzato dice un "Ciao" che però si spegne subito perché il sacchetto nel frattempo ha preso il largo, sta volando sfracellandosi a terra e naturalmente scaraventando fuori ogni futile bendidìo.
Lei sempre voltata sorride alla volta del ragazzino incasinato. E lui chinandosi per raccogliere il tutto mormora una parola, solo una, a se stesso, che la sua mamma prontamente sente: "Perfetto!". Solo questo: "Perfetto!".

Il mio cuore ha avuto un sussulto. Dov'è il mio bambino? Chi è questo giovane che maledice la sua sgraziataggine di fronte ad una fanciulla in fiore?

Sorridendo lo aiuto. "Capita, non ti preoccupare" dico imbarazzata.
Il percorso in auto è silenzioso. Mi chiede di accendere la radio.



E io penso che si cresce a pezzi. Penso che una madre ha in mente una curva come quella, appunto, della crescita dei primi mesi di vita, per immaginarsi la formazione dei propri bambini. E invece si sbaglia. E' solo il corpo che è armonico, che si sviluppa uniformemente, il resto procede a ad accelerate improvvise in luoghi improvvisi. Ieri non sapeva come va il mondo là fuori, e oggi mi chiede se ho votato Renzi o Grillo (oh, gli altri li ha esclusi lui...): senso civico sù.
Ieri intravedeva un bambino piccolo girargli intorno, oggi sgrida il Tre perché fa giochi pericolosi: senso di responsabilità sù.
Ieri mi diceva "Io sto bene da solo", oggi incassa con dignità la prima vera gaffe di fronte ad una bella ragazzina che si è girata apposta per salutarlo: spostamenti del cuore sù.

E in mezzo a tutto ciò gioca a nascondino, urla "Geronimo!!!" quando fa una discesa ad alta velocità in bicicletta, frigna se gli tolgo un cartone.

Sono esterrefatta. Questo crescere a tratti è meraviglioso. E' come se non fosse proprio possibile crescere tutto insieme come fanno le gambe che s'allungano, ogni parte intima ha bisogno del suo tempo, ma forse, soprattutto della sua occasione.

Che mondo da esplorare!
Nel silenzio e nel caldo della macchina un bambino di 10 anni guarda fuori dal finestrino, ascolta la musica e pensa.

giovedì 19 giugno 2014

SULLA CARLA ovvero GHE SEM

Ghe sem è un'espressione dialettale delle nostre zone. La traduzione letterale è: Ci siamo. Ma è un "ci siamo" del lungo viaggio, della fatica, della felicità di esserci riusciti.

Comincio dalla fine a raccontare la Carla, che è stata da noi due giorni e che si è comprata una maglietta con scritto appunto Ghe Sem, prima di prendere il treno per tornare a Roma.

Il "da noi" è il "dal Tommaso", dove ormai mi sento un po' come casa mia, se per casa si intende un luogo dove tornare è bello.

La Carla è la Carla Ghisalberti, co-autrice di uno dei blog caposaldo per le recensioni di libri per bambini e ragazzi; membro di redazione di una delle case editrici più audaci del panorama italiano, orecchioacerbo; nonché lettrice per professione e formatrice. Insomma per me un po' un idolo, perché riesce a fare al meglio tre cose che hanno un peso fondamentale: parlare di libri, stampare libri, leggere libri.

La Carla e il Tommaso: non ho chiesto il permesso di pubblicarli, me ne vorranno?

Quel fine settimana sono successe tante cose. Anzi no. Sono successe tante piccole cose che hanno smosso grandissime cose. E' stato un fine settimana di linee intrecciate che continuavano a formare significati, a partire da uno dei libri di cui Carla ha parlato: Ballata di Blexbolex.
E' un libro piccolo, alto, con dei colori fantastici. Lo prendevo in mano, lo sfogliavo e lo lasciavo lì. Poi tornavo dal Tommaso e lo riprendevo in mano. Insomma, alla fine mi è stato regalato.
E Carla l'ha sviscerato. Mi ha spiegato perché mi sono innamorata di quel libro. Ed è così, succede come con gli uomini, ti innamori, non capisci, razionalizzi, ma non ti interessa e vai avanti e con quel libro è stato così.
Carla ha una padronanza della materia che è spaventosa. Mentre parla la vedi che sfoglia e la immagini che risfoglia e segna e scrive. E' un piacere sentirla.



Ma non voglio parlare del suo lavoro, voglio parlare del suo modo. Penso, da lettrice di libri nelle scuole, di avere più imparato da lei in 48 ore scarse, che in tomi e tomi di libri sull'approccio alla lettura.

Mi sono goduta le sue letture ai bambini come fossi una di loro e ho appreso.

Di un libro Carla prende il nocciolo, il senso ultimo e profondo e ne parla coi bambini, ponendo domande e stando in ascolto. Riprendendo le risposte e rivoltandole ad altri in un gioco che crea il gruppo, l'attesa, la voglia di capire in che direzione si stia andando... Ah il desiderio... e poi comincia la lettura e rifinisce il senso delle domande, le ricolloca.

E poi gli capita il gruppo in cui molti bambini conoscono già il libro che leggerà.
Io ho la tendenza ad andare nel panico quando mi capita, mentre lei ci gioca, lascia dire a chi sa per far intendere. Come un mago che gioca con le attese, tesse agganci e poi svela o fa svelare.

La Carla c'è, è così presente nelle cose che fa, così lì, così attenta da ridare subito, immediatamente grande dignità all'Ascoltatore, sia esso un bambino di quattro anni.

Io da grande, da mamma, auguro a tutti di poterla vedere da vicino, al lavoro. Vale più di molte lezioni pedagogiche.

(Poi ci sono state molte pieghe in questi due giorni, così speciali e belle da non poter essere narrate. Così vicine a me da volerle lasciare lì nei ricordi. Molto personali anche. O forse no, erano semplicemente questioni... dell'umanità.)


Grazie Carla.
(Il Tre ha visto il tuo cane, ha detto che vuole assolutamente vedere il tuo cane. E dopo, Roma. "Dopo", mi ha ripetuto.)

mercoledì 7 maggio 2014

I BAMBINI TRE ovvero OMAGGIO

I bambini Tre a volte esigono un post a parte a vanvera perché in genere hanno molte meno foto, molti meno video, molti meno momenti solitari con i genitori e naturalmente molti meno post.

Mi porto avanti col lavoro, in modo che quando mi dirà: "Ma tu mi hai dimenticato all'asilo, dalla nonna, ecc ecc." e aggiungerà: "E hai scritto di me molte meno cose!", io gli presenterò questo post.

Il Tre vuole assolutamente fare da solo le foto che ritraggono la sua amena famiglia in gita. A volte le foto appaiono un po' scentrate, ma al Tre non bisogna dirlo:


Il Tre ha molti libri. Vecchi. Tutti i membri della famiglia li sanno a memoria. Lui compreso, tanto è vero che il Tre riesce a riconoscere un Pollock all'istante, avendolo visto per tante e tante volte in Olivia:


Il Tre è così avanti che si fa già i selfies:


Il Tre deve farsi notare. E' insito nel suo dna. Non cammina, ancheggia. Non parla, urla. Non è propriamente un tipo che passa inosservato.


Il Tre se scatta l'ora ics del primo giorno di primavera, si veste leggero. Perché lui si veste da solo. Anche se fuori ci sono 10 gradi.


Il Tre ricicla, riutilizza. Gioca con quello che trova. Che tanto di giocattoli nuovi ne riceve davvero pochi. 


Il Tre è il terzo maschio. Voi mi capite. Ha già tutto il guardaroba per i prossimi 6 anni. La sua prima maglietta gliel'ho comprata pochi mesi fa. Lui l'ha presa. L'ha stesa e accarezzata. Mi ha detto che io sono gentilissima, perché gli ho comprato la maglietta più bella del mondo.
Non ho potuto non fotografarlo, anche perché s'è piantato in cucina per mezz'ora ad accarezzare.


Il Tre ama i dettagli e disegna meravigliosi omini con un grande ombelico.


Cosa dite? Che quell'enorme ombelico è metafora del mio rapporto con lui??
Sì, decisamente. Solo con i Tre si può vivere in piena libertà quel meraviglioso passaggio evolutivo chiamato Complesso d'Edipo.

Con questo post, mio amato Tre, spero di aver colmato il vuoto di quel giorno di marzo in cui compivi gli anni....








lunedì 5 maggio 2014

RATMANIACI

Mio figlio Uno ha una peculiarità che rivedo in me: l'innamoramento facile e assoluto.
Vediamo se con queste foto, scattate in un giorno ordinario - oggi - mentre cercavo di dare un senso a questa casa che condivido con lui, vediamo se riesco a farvi venire un'idea:







Boba Fett è sopra solo perché è nuovo!

A parte il casino di casa..... sì, è lui: RATMAN disegnato dal maestro Leo Ortolani!!

Dunque partiamo dall'inizio. All'inizio del nuovo millennio m'imbatto per caso in questo fumetto ed è amore a prima vista. Non capisco più nulla, setaccio edicole e fumetterie (io, una così brava ragazza che mette piede in quei luoghi da nerd pallidi ed emaciati...), fino a che chiamo l'editore e gli dico: voglio tutti i fumetti che avete a magazzino. TUTTI!!
E loro mi spediscono il pacco e io inizio a leggere e poi me li metto in libreria e con lo sguardo perso sui loro dorsetti, a volte li contemplo a vanvera.

Succede che faccio tre figli e che il primo legga fumetti a manetta e si soffermi su Ratman. La maestra (che conosce il Ratto) dopo che l'Uno in prima elementare si era presentato (lo giuro non lo sapevo!!!) in classe col fumetto, mi ha preso da parte e mi ha detto: "Forse è meglio partire con Topolino...".

E così io ho fatto.

Dev'essere che io allora gli abbia detto che avrebbe potuto leggerli più avanti, intorno ai nove anni, pensando erroneamente che lui mai avrebbe segnato in agenda la data.
E invece NO. E' un anno che legge e rilegge e rilegge il Ratman. Ogni situazione familiare la cita come già letta in uno degli innumerevoli numeri. 
A volte mi rilegge brani di racconti che presi singolarmente non fanno ridere, ma lui a stento trattiene le lacrime. E mi insegue: in bagno, mentre vesto il Tre, mentre correggo i compiti al Due, ecc. ecc.

Non contento ha cominciato a disegnarlo ovunque:

Qui in un omaggio al proprio papà.
Addirittura in un recente laboratorio con Aoi Huber Kono, splendida artista giapponese, mi ha messo il Ratto:


Se questo non è innamoramento, cos'è?

Ma mi sono risollevata quando ho incontrato un'altra mamma con un figlio come il mio. Solo che l'altro ha 14 anni e dunque ora so quali saranno i prossimi passi, tra cui più visite alla mostra di Lucca sui fumetti. Pensavamo anche, con questa mamma, di mettere insieme un Gruppo Mamme per gestire al meglio questa devianza fumettistica.
(Naturalmente entrambe parlavamo cercando di non far emergere troppo la NOSTRA smisurata passione per il Ratto, tipo: "Eh, ma quel racconto con la Cinzia che.... non lo può capire!!", "Eh no! Forse potrebbero capire quello dove lui....").

Non sto a dirvi che l'abbonamento al Topolino a deciso di convertirlo con quello di Ratman.



venerdì 2 maggio 2014

IL FAZZOLETTO BIANCO di V. Boldis

Venerdì del libro di homemademamma.

E' stato un anno scolastico intenso di storie. Ne ho lette tantissime, ai miei tre gnomi, nelle scuole, nelle biblioteche. Un po' grazie all'assodata amicizia col Tommaso, un po' perché i bambini crescono e le mamme imbiancano e leggono un poco di più.

Quando leggo mi concentro sulla storia sì, ma in modo "professionale": scandire bene, intonare, far arrivare. E' raro che dei libri pur meravigliosi ed emozionanti, si facciamo sentire in me mentre leggo ad un pubblico.

Ma pochi giorni fa non ce l'ho fatta. L'ho letto in una mattina due volte, a bambini diversi e tutt'e due le volte, le parole mi si strozzavano in gola e faticavo.

Il libro è questo:

IL FAZZOLETTO BIANCO
di V. Boldis
illustrato da A. Toffolo



La storia è quella di un ragazzo nato in Transilvania, in Romania. Della sua vita semplice e dura. Di una mamma affettuosa e di un padre duro, "generale" con se stesso e con gli altri, come racconta il protagonista. Il bambino lavora, va a scuola e diventato più grande comincia a combinare dei guai. Il papà lo picchia. E lui scappa dagli amici. Solo quando la mamma stende dalla finestra un fazzoletto bianco, lui può tornare a casa, perché la rabbia per padre è svanita.
Un giorno il bambino diventato ragazzo decide di lasciare la sua terra e il padre ferito dalla rabbia e dalla tristezza gli ammonisce di non tornare più.
Passano due anni, ma la nostalgia vince sul protagonista che scrive una lettera alla madre chiedendo di essere accolto di nuovo e di stendere un fazzoletto bianco alla finestra.
Dopo un lungo viaggio il ragazzo arriva, decide di percorrere a piedi gli ultimi chilometri che lo separano da casa sua, ma camminando nota che la casa non c'è. Al suo posto ce n'è un'altra.

Non ve lo racconto il finale, perché è quello che fa piangere ed emozionare.
E' quello che fa aderire alla mia pelle la pelle di quella madre. E' quello anche che mi fa accelerare il cuore quando il ragazzo racconta:

"Man mano che mi avvicinavo, il cuore mi batteva sempre più forte. Speravo con tutta l'anima di trovare il fazzoletto bianco appeso alla finestra."


E' un libro dai tratti forti come l'illustrazione. Che ha la decisione del nero più nero, aggiunto al tentennamento delle linee spezzate, sottili.
Con molte descrizioni di spostamenti di cuore, di emozioni, e di speranze e di felicità.
E' un libro che racconta ai bambini benissimo il tema del Ritorno. Del ritorno di chi è partito e di chi è rimasto, mettendo la lente d'ingrandimento sul rapporto genitori-figli.

"Decisi di andare avanti comunque, per vedere, per capire... Mi misi a correre con il cuore in gola e quando finalmente arrivai vicino, capii tutto."


giovedì 30 gennaio 2014

DON GIOVANNI ovvero FILIPPO TIMI

Filippo Timi l'ho visto la prima volta al cinema in Come Dio comanda di G. Salvatores.
Mi aveva impressionato molto la sua interpretazione, in particolar modo mi aveva colpito la sua voce e la sua fisicità, forse anche a causa delle riprese molto ravvicinate di Salvatores, mi sembrava una roccia granitica questo padre.

Quando un attore mi incuriosisce così, non lo mollo facilmente.
L'ho visto in Vincere di M. Bellocchio e mi ha sempre più convinto.
A teatro non ero mai riuscita a vederlo, perché il Teatro Parenti a Milano era sempre strapieno e insomma non era cosa.

Quando un bel giorno la mia amica L. mi fa una proposta e io l'accetto e lei trova i biglietti e noi andiamo a vedere il Don Giovanni di e con Filippo Timi.


Naturalmente noi siamo brave ragazze e studiamo. La L. mi passa il libro di Timi Tutt'al più muoio, libro dal titolo meraviglioso, mapponazzo da 600 pagine, la sua vita. E di anni ne ha 40.
Bhe, in effetti non è stata propriamente una passeggiata questa sua vita, piena di problemi fisici (Timi balbetta, ma non in teatro,  e ha una malattia agli occhi che non gli permette di vedere le immagini nitide) non da poco, ma soprattutto colma di voglia di emergere, ma non di emergere sugli altri, da di emergere da se stesso.

Ecco, lo spettacolo è la stessa cosa.
Togliamoci subito di mezzo le cose che mi sono piaciute meno: di sicuro la seconda parte, quella del sentiero che porta alla morte del protagonista. è la meno interessante e perde un po' il ritmo. Ma tre ore di spettacolo vogliono fisiologicamente dei momenti di rallentamento.
Ma soprattutto mi pare che Timi ceda nei momenti che lui cuci come quelli più lirici o per lo meno più catartici.
Il Timi che mi piace rimane quello dell'emersione della passione per la vita, del piacere che provoca in noi spettatori nel vederlo così dentro quelle spoglie. Della voce profonda e rauca che segna il passo con un'energia fuori dal comune. Del piacere che ha nello sfoggiare quei costumi meravigliosi, dell'altalenanza tra sacro e profano in modo buffonesco.
Davvero passa sia nello spettacolo che nel libro il suo attaccamento feroce a questa vita che a volte vede come una maledizione, un amore folle e senza limiti, un amore sudato davvero.
Lui ha nella provocazione la sua energia vitale, che però perde peso, a mio parere, nel momento in cui Timi cerca di forgiarla in pensiero razionale. 
Timi è un corpo (senza vista), una voce (che balbetta) che già col solo esserci provocano reazioni, non ha bisogno di altro, non ha bisogno di spiegarcela troppo la fatica che ha fatto, perché ce l'ha disegnata su se stesso.

E poi, non so se a lui farà piacere, ma a me ieri sera è venuto in mente un altro uomo e un altro libro che sempre mi ha regalato L.:
Alfabeto Poli si intitola, dove Paolo Poli si racconta in brevi aneddoti. Me lo ricorda non solo perché Poli ha fatto del costume la metafora perfetta del suo teatro eccessivo, ma per l'atteggiamento:

Io do ancora scandalo. A ottant'anni suonati! Il vescovo di Barletta (...) in un'omelia ha tuonato ai suoi parrocchiani: "Non andate a vedere gli spettacoli di quello lì". 
Ma non è meraviglioso?

E soprattutto nella frase così Timiana:

Finché il cuore sanguina, è ancora vivo.

Qui le prime dieci righe dei libri di Timi e Poli.
Questo post partecipa al venerdì del libro di Homemademmma!

mercoledì 29 gennaio 2014

SUI CASSETTI ovvero LA CUCINA COME LA INTENDO IO

Noi abbiamo un tavolo in cucina vecchio.
Non quel vecchio anni '60. Ma vecchio vecchio, tipo inizi '900.
Non ha valore di per sé, "l'è fà de péscia!" direbbe mio papà, ossia di abete, legnaccio per noi della brianza.

Eppure quando l'abbiamo scelto nella piccola cooperativa che ristrutturava mobili antichi, ci ha subito convinti per una sua peculiare caratteristica:


Il cassetto centrale.

I miei nonni paterni avevano un tavolo in cucina con un cassetto solo per i bambini. Era pieno di matite colorate (i pennarelli questi sconosciuti) e di pastelli a cera lunghi lunghi con alla fine un buco dove mi piaceva infilare il mignolo, e dove la cera era così sottile che si spezzava subito.
I miei nonni materni avevano il tavolo super lusso in formica verde e il cassetto era pieno di cose vietatissime a noi bambini: coltellacci, forbici enormi e nere, aghi, ecc.

Per me il cassetto è la cucina, intesa come luogo stanziale, in cui ci si ferma, in cui si sta insieme, io mentre cucino e loro mentre fanno i compiti o disegnano. Io mentre leggo e loro mentre fanno merenda. La mia cucina è quel cassetto, così scomodo perché per prendere qualcosa devi sempre far spostare un altro, eppure così ricco.

A me il cassetto, dovendo rispecchiare la mia casa, piace un po' incasinato. C'è tutto: carte, pennarelli, scotch, metro (legnamee inside), incenso, fogli da riciclo. Ed è il fulcro. Gioisco quando lo apro anche perché è mutevole, non sai mai cosa di preciso ci troverai. Cresce con noi, da coppietta appena convivente era pieno di certificati elettorali, e spine e prese. Poi coi bambini piccoli termometri e infine questa accozzaglia di inutili e fondamentali amenità.

Un po' me li tengo ancorati lì i miei gnomi, lo so. A domanda: dov'è mamma? Rispondo: guarda nel cassetto, qualcosa che ti serve troverai. Che è un po' come dire di guardare qui nei miei paraggi, in prossimità di me, tra i miei arnesi. Sta di fatto che trovano lì dentro sempre qualcosa che interessa loro.

lunedì 27 gennaio 2014

CICLOPE

Il ciclope è una figura affascinante.
Il più famoso rimane Polifemo.
Ai bambini è sempre piaciuto molto questo mostro.
A me hanno sempre fatto tenerezza, e non penso solo a me, visto il successo dei Minion:


O il nostro amato Placton:





E poi quell'occhione grande mi fa pensare al famoso e fatidico terzo occhio. Quello sopra di noi, in mezzo ai nostri occhi, quello che apre le coscienze.
Grandi occhi. Terzi occhi. 
E' un gran tema per me questo.

Quindi quando ho visto questo tutorial non ho potuto non provare a farlo.







Non trovate una certa somiglianza?

PS: Il Due domani lo porta a scuola, stanno facendo i cinque sensi e mi sembrava una bella occasione!
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