giovedì 26 aprile 2012

SUGLI ARCOBALENI e LE CASETTE

Risollevare il capo.
Guardare avanti.
Sorridere col corpo, atteggiamento di apertura. Dice la maestra Yoga.
C'è l'arcobaleno ogni giorno da queste parti.


Se guardate bene bene la foto, sullo sfondo a sinistra ce n'è un altro.
Fermare questo momento. Camminare seguendo i colori alla ricerca della pentola.
No, non li voglio i soldi.
Voglio una pentola piena di libri che fanno ridere, o anche solo sorridere.
Voglio giocare a pallone e scavare le buche. Salire sull'altalena e fare merenda al parchetto.
Ricominciamo con la nostra casetta.




Lettura libera.

Libera merenda.
Libero gioco.


(Anche qui qualche info in più)




mercoledì 25 aprile 2012

SULL'EUTANASIA ovvero IL 25 APRILE

Mia nonna ha 97 anni.
E' lucida e fino a poche settimane fa leggeva in libro a settimana.
Ora non ci riesce più, perché non sta bene, non mangia, non beve.
Prega.
Prega tutti i giorni di andare a dormire e di non svegliarsi più. Sarebbe una liberazione, mi dice. Ho voglia di morire.
Le ho sentite tante volte queste parole, alle quali io reagivo con comprensione e fermezza. No, nonna. Non devi dire così, ci sono io, i tuoi nipoti, le tue figlie, i tuoi libri.
Ma ora non ce la faccio più a dirlo.

In qualche scatola preziosa ho un'audiocassetta che ho registrato almeno venti anni fa. Lì dentro mi racconta tutta la sua vita.
Intorno ai giorni della liberazione erano i giorni più cruenti e crudeli.
Mi ha raccontato che mio nonno è sfuggito al rastrellamento delle fosse ardeatine perché avvisato dal soldato gentile di scappare da quelle strade. Mi ha raccontato degli otto piani da fare tutti i giorni per portare l'acqua in casa, con mia zia di due anni, con una dissenteria cronica da più di 12 mesi e mio nonno allettato  per mancanza di cibo. Mi ha raccontato delle vicine che andavano a letto coi soldati e che, commosse, le portavano un po' di zucchero e un po' d'olio.
Mi ha detto pochi giorni fa che però lei andava avanti. Non pensava alla paura, andava avanti a vivere "ed ero quasi più serena che adesso, nonostante i miei quaranta chili e la fatica".


Oggi non riesco più a consolare mia nonna.
Perché anche io prego. Prego che si addormenti tranquilla e che non si svegli più.
Ho lasciato da parte i miei egoistici desideri, e ho capito.
Ho capito che ha ragione, e fa male davvero dover affrontare questa ragione.
Pregare perché possa esaudirsi il suo desiderio non è forse un po' praticare l'eutanasia?
Probabilmente da un punto di vista pratico la risposta è no. Ma dal punto di vista del cuore è sì.

martedì 24 aprile 2012

SUL LINGUAGGIO

Questo libro è scritto in piripù.

"Tararì tararera" di E. Bussolati - Carthusia

E' una lingua strana, ma comprensibile.
Ecco l'incipit:

Tararì tararera... sesa terù di Piripù:
Piripu Pà,
Piripù Mà,
Piripù Sò,
Piripu Bé
e Piripù Bibi.

Piripù Pà, Piripù Mà,
Piripù Sò e Piripù Bé
su sero gnamgnam.

Piripù Bibi no-no-no:
sesa ino ino ino.

Aiutati dalle illustrazioni il significato si apre d'incanto.
A volte lo faccio questo gioco con i bambini, inventiamo parole inesistenti con cui dobbiamo discutere e soprattutto far capire le intenzioni, i sottotesti. Mi sono così accorta che parlando senza parole arrivano di più le sfumature a volte.
Oppure mi capita di ascoltare un linguaggio che è quasi ma non ancora. Delle parole ordinate con fatica e così lampanti nel loro disegno. Si legge tutto in quello strano linguaggio ed è così bello ascoltarlo.
Lui è la fonte:


Il contesto è domenicale, senza fratelli, con tanti fiori da raccogliere e 700 metri di strada da percorrere fino ad arrivare alle caprette.

"Mamis fiore.
Fumo, offia. Blè!! Chifo!!
Tanti fiori. Due quatto sei otto. (ndr: l'Uno è alle prese con le tabelline)
Ohhhhhhhh.... buco!!!!!! Ormica buco casa nanna.
Abero tira tira. Ahhhh no abero tira nonononono!
Pente grande pente mangia mottro groscio groscio.
Guadda mamis!!! Buco acqua... Blè!!! Acqua cane beve.
Patta!!
Oh no patta?! Cacca vallo. Blè cacca vallo!! Chifo! Puzza!
Cane!! Due cane!! Viva!!! Viva cane bellooooooo..
No pura mamis... bello cane.
Magherita granne, magherita picca picca.
Magherita mamma, magherita bimbo.
Tò mamis!
Cape!!!! Ciao cape!!!!
Mangia folia... tò mangia.
Lingua lungaaaaaaa....
Ciao cape!! Ciao!!
Io casa. Baccio mamis. Tanco tanco...!"



lunedì 23 aprile 2012

SULL'IMPONDERABILE

(Grazie Lisa che mi hai fatto sapere che oggi è la Giornata Mondiale del Libro. E io li onoro con questo...)


Tornavo da scuola dopo aver portato i bambini, tanto stanchi di alzarsi la mattina, ancora piovosa e fredda. Bambini che a colazione mi chiedevano quanto manca alla fine, perché "siamo stanchi".
E lo so, sono le settimane più dure e difficili a scuola.
Ad un certo punto mentre riflettevo su questo lunedì da plasmare, ho sentito alla radio (santa radio subito) l'intervento di un signore, tale Francesco Dell'Oro, introdotto dalla presentazione del giornalista che diceva:
"Dell'Oro ha scritto un libro sull'orientamento scolastico, lui, che era stato indicato come inadatto dai propri professori al proseguimento degli studi. Insomma, gli avevano detto: "Forse è meglio se vai a lavorare"."
Ecco, andate a vedere qui la formazione di Dell'Oro...


Anche a me avevano detto di andare a fare un istituto tecnico. Ho scelto di fare il liceo scientifico anche perché mi avevano consigliato di fare l'istituto tecnico. Ho avuto due esami di riparazione in seconda poi il trend è stato sempre più positivo e senza esami. Sono uscita con 52 su 60 e tuttora rimpiango di non aver fatto il classico.
Dell'Orto nella sua intervista ha esordito con: "Nessuno nell'ambito pedagogico considera una variabile fondamentale: l'imponderabilità nello sviluppo dei bambini."
Qui ci sono dei sinonimi di questa pomposa parola, che aiutano a pensarla.
Spesso ci strafoghiamo di letture, di libri, manuali, blog. Dico noi genitori. Abbiamo la tendenza alla catalogazione, al mettere nei ripiani giusti i nostri figli. La nostra naturale propensione ad aiutarli ci si rivolge contro perché mentre noi mettiamo barriere intorno a loro, loro poi magicamente mutano come crisalidi. Non riusciamo ad immaginare che ci possa essere un lato imponderabile che poi possa aiutarli nel loro sviluppo. I germogli dentro di loro sono così piccoli che tendiamo a non vederli.
Quello che mia nonna mi dice: "Crescerà, non ti preoccupare!" contiene tutto l'imponderabile e ottimista amore del mondo. 
A me fa paura questo terreno che non conosco, perché lo misuro su di me, sulle mie ansie di mamma. Ma a ben pensarci, chi cresce va verso l'alto, verso il cielo e non gli si può negare anche la speranza che un giorno possa riuscire a toccare la luna con un dito.

venerdì 20 aprile 2012

LA VOCE DEI COLORI

Oggi poche parole, Paola. Ma tanti colori.

LA VOCE DEI COLORI
di Jimmy Liao
- Gruppo Abele -
2011



Sono giorni di trasporto. Di viaggi e di locomozione. Di tram e di metropolitane.
In una mattina piovosa di queste entro da un amico che vende ottimi libri e cornici. Già.
E fa anche un buonissimo caffè, con la moka, naturalmente.
E capita che mentre spulcio, arriva il corriere e lui, il mio amico, mi dica di guardare quello che ha ordinato. Vado subito su questo libro. E mi illumino.

Non sono molti i libri nell'arco di una vita che si vorrebbe non finissero mai. Ecco, questo per me è uno di quelli.
Lo sfoglio e lo sfoglio e ogni volta è una scoperta, un particolare emerge e un altro affonda.
E' la storia di una bambina cieca che per cercare un senso comincia a camminare e a viaggiare con la metropolitana e s'immagina decine di stazioni diverse, fantastiche, colorate. Scende e sale. Incrocia animali e persone. Pare che soccomba e invece riemerge.
Sono stanca. Dov'è la prossima stazione? Chissà se esiste una metropolitana sempre in funzione, che non si fermi mai? All'uscita inaspettatamente, io e il cielo abbiamo iniziato a piangere. I vestiti bagnati alla fine però si sono asciugati... e così ho scordato la tristezza di ieri. In fondo tutto ciò che si può dimenticare, non è poi così importante. (...) Forse è meglio sederci, sorseggiare un tè con tutta calma, raccontarci i nostri sogni.


E anche qui, le prime tre pagine.

giovedì 19 aprile 2012

ANDARE COL 12 E TORNARE COL 14.

Per la mia famiglia l'evento del Salone del Mobile è come un matrimonio.
Un matrimonio che dura una settimana.
Tutto si ferma. Ci si veste bene. Si prenota il catering. E via discorrendo.
E' divertente né... ed è anche bello vedere il fervore delle produzioni e anche che in questo settore, scusate, noi italiani siamo davvero i numeri uno.
Poi, succede che anche il mio scalchignato Mac vada in fiera, solo che lui si ferma a dormire e dunque che io rimanga senza protesi digitale.
Succede anche che per una serie lunga di coincidenze, io debba prendere un mezzo per spostarmi da quasi fuori Milano a centro Milano.

E così sono lì, in mezzo a una piazza che in realtà è una grandissima rotonda.
Ecco, chiedo a lui... No! E' al telefono e non parla italiano. La signora no, che la bimba piange. Ah, ecco! L'ottantenne con le perle al collo, il paltò e la borsetta.
"Scusi signora, la metropolitana?"
"Ecco, la metro eh?"
Cioè come a dire:
"Non è che perché siamo a Milano mi puoi chiedere il panettone a ferragosto!"
Allora io esplico:
"Devo andare in Duomo!"
"AH!! Il 12! Deve prendere il 12! Che peccato. E' appena passato... Vada là, prende il biglietto lì, poi si ferma là e lo prende, veda lei quale perché passa anche il 14..."
"Grazie signora!"
"Prego e auguri!"
Auguri. Auguri?
Beh, comunque bello prendersi un auguri così, a gratis, penso.

Oh, biglietto preso. Ce l'ho in mano. No, non lo metto via, lo devo obliterare, poi non lo trovo se lo metto in borsa.
Mi si avvicina un'altra ottantenne col paltò e la borsetta. Ma senza perle.
Mi fa vedere un opuscolo che conosco:
"Cosa mi dice del seguire la strada di Dio..."
La butto sul ridere:
"Guardi sono molto in ansia in questo momento per la mia di strada..."

Il 12 mi salva dal suo sguardo severo. Salgo


E' di quelli vecchiotti e scrostati. Traballa. Oblitero. Mi siedo. Studio. Ok, ho capito, non dovrei sbagliare nel scendere. Tengo il biglietto in mano. Che non si sa mai.
Nel mio vagone (ma si chiama così anche quello del tram?) sono tutti stranieri, per lo più cinesi, o comunque asiatici. E infatti entriamo in Cina, negozi di vestiti dappertutto, poi strani negozi di alimenti e poi ancora vestiti. Le vetrine coi manichini senza testa, oppure pacchi e pacchi di vestiti ancora chiusi. Chinatown, scrive google maps. Già. Scendono i miei compagni di viaggio e cambiano. Zona Arena. Via Orefici mi pare di leggere. Mi volto e due ragazze bellissime e piene di pacchetti salgono e si siedono dove prima c'era il ragazzo cinese che nervoso faceva ballare le gambe. Salumerie, bar, vestiti, tutto è perfetto, perfettamente milanese nel senso più stereotipato.
Controllore. Lo sapevo!! Ecco! L'ho in mano il biglietto, vede che provinciale previdente sono...
"Meno male che la manifestazione è dietro..." dice al collega.
Mi volto e a pochi metri dal tram, un'enorme macchia indistinta di persone con bandiere rosse e al collo avanza.
Scendo.

E il ritorno?
Ho il 14, è nuovo.
Di nuovo passo per la scorciatoia sociale, ma in senso opposto. Dalle stelle alle stalle. Il tram ti permette di vedere nel riflesso degli occhi di chi sale il mondo da cui viene, che poi è quello che c'è fuori dal finestrino.
Nel tram verde i sedili non guardano tutti avanti (verso un futuro migliore?), ma si guardano l'uno con l'altro frontalmente. Entro e di nuovo tutti stranieri. Mi siedo vicino a una ragazza asiatica che scende, subito rimpiazzata da un'italianissima cinquantenne. Noto che man mano che le persone salgono, si siedono nella fila di sedili che gli corrisponde e cioè, banalmente, italiani di quà e tutto il resto del mondo di là.
Solo i ragazzi di un liceo lì vicino scompiglia per poche centinaia di metri le carte, poi tutto torna normale. Il signore al mio fianco ha il cappello e fa il sudoku. I due davanti a me sono grossi e guardano malissimo i ragazzini che incautamente li hanno sfiorati. Tutto il gruppo di quindicenni scala di uno.
E io penso che è bello il tram. E che comunque a me Milano piace. Ma da buona provinciale, penso che non vorrei proprio viverci.
Scendo. Ho ancora il biglietto in mano. Il controllore questa volta non è passato.

mercoledì 4 aprile 2012

QUELLO CHE NON HO

Quello che non ho sono le scarpe coi tacchi.
Quello che non ho è l'ottimismo a pacchi.
Quello che non ho è la pazienza riparatrice.
Quello che non ho è la pausa in lavatrice.
Quello che non ho è l'appuntamento con la parrucchiera.
Quello che non ho sono gli occhi di una pantera.
Quello che non ho è l'anima in pace.
Quello che non ho è quello di cui non son capace.
Quello che non ho è un sorriso smagliante.
Quello che non ho è una memoria d'elefante.
Quello che non ho è un pranzo di lavoro.
Quello che non ho sono le voci di un coro.
Quello che non ho sono le borse coordinate.
Quello che non ho sono le mani affusolate.
Quello che non ho sono gli aperitivi fumosi.
Quello che non ho sono i capelli frondosi.
Quello che non ho è di farla franca.
Quello che non ho è quel che non mi manca.



Buona Pasqua.


lunedì 2 aprile 2012

CONTRO I 60-70ENNI. LETTERA APERTA.

Sì. Ho i capelli girati dall'altra parte. C'è il vento e lo odio. C'ho saturno contro. Mettetela come volete, ma lo so, mi accorgo di essere polemica. Sapete, la primavera è l'epoca del cambiamento, delle rinascite, no? E' il periodo in cui le cose uguali a se stesse riemergono sempre leggermente diverse rispetto all'anno passato. E' questo forse il suo lato spaventoso e meravigliosamente rivoluzionario.

Davanti a quest'esplosione eruttiva di verde fiori e foglie, ho pensato alla generazione più monolitica che io abbia mai incontrato nella mia vita: quella dei 60-70enni.

Loro sono la generazione che per la prima volta nella storia, ha guadagnato in media più del doppio dei propri genitori, ma anche la generazione che vedrà i propri figli guadagnare la metà di quello che hanno guadagnato loro. Sono la generazione che ha 'combattuto' tra la fine degli anni sessanta e la fine dei settanta per noi. Per noi?! Per la rivoluzione sessuale? Per l'emancipazione della donna? Per una scuola più equa? Per la meritocrazia?
Viviamo in un paese sottosviluppato quanto a emancipazione. La scuola è allo scatafascio e nella fretta di distruggere tutto ciò che è autorità, hanno distrutto anche ciò che andava salvato: l'autorevolezza.
Sono stati quelli che ci hanno detto di assassinare i padri e adesso sono quelli che sui giornali ci dicono che noi genitori siamo troppo permissivi, molli, manchiamo di autorità.

Sono quelli che a noi 35-40enni dicevano fossimo la generazione X: smidollati senza ideali, senza aneliti, sfiduciati...
Invece abbiamo sbagliato! Dovevamo fare come loro, incancrenirci nelle nostre pseudo-certezze, come hanno fatto loro per anni. Diventare dei monoliti, ma pensando in modo bidimensionale: questo è buono, quello è cattivo; questa è la destra, quella è la sinistra; qui c'è il giusto e là lo sbagliato. In effetti è vero. E' più facile vedere la realtà così. Cavolo ecco il segreto, l'appiattimento superficiale della complessa realtà. Ed è anche più semplice vivere in un mondo così, no?

Sono quelli che ai ventenni di oggi dicono di essere degli sfigati, mammoni. Che è un po' l'abbrutimento di quello che dicevano a noi. Di nuovo giudicando dall'alto, come se il fatto di aver avuto vent'anni negli anni sessanta-settanta, li rendesse per partito preso abili a sparlare di queste sfigate generazioni a venire.
Come se noi fossimo usciti dal nulla e non dalle loro viscere.
E sì, signori, qualche sfigato ci sarà pure tra noi 35enni e 20enni. Ma state tranquilli che anche tra di voi qualche testa balenga c'era.

I sessanta-settantenni sono quelli che ci governano. Non ne posso più delle loro cravatte. Dei capelli grigi. Dei "gli anni della mia formazione"... Non ne posso più di quei Professori, di quei Dottori, di quegli Scrittori, di quei Giornalisti. Pare che la loro missione sia pontificare senza mai un cenno di analisi, ma che dico analisi, mi farebbe contenta anche solo un po' di ironia.


Sono stufa delle dita puntate. STUFA! E come dice Mons. Bettazzi, ricordiamoci che quando si giudica e si punta l'indice contro un altro, un dito indica, uno guarda in alto mentre le altre tre dita guardano colui che giudica.

Loro sono una specie rara. Ogni primavera si risvegliano dal torpore e rinverdiscono, rifioriscono. Ma quella foglia là era identica a quella dell'anno scorso, e anche quel fiore rosso aveva lo stesso petalo sciupato. Ogni foglia sempre uguale a se stessa, la linfa stanca ripercorre lenta la stessa identica strada anno dopo anno. I rami non tendono più al cielo sdoppiandosi, ma rimangono lì immobili. Fieri della posizione conquistata.
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